Salvatore Conforto
Il tuo corpo, questa casa disabitata
In questo preciso istante, nel punto stesso in cui ti trovi, c’è una casa con il tuo nome. Ne sei l’unico proprietario, ma, molto tempo fa, ne hai perduto le chiavi. Così rimani chiuso fuori, e ne conosci soltanto la facciata. Non ci abiti. Questa casa, rifugio dei tuoi ricordi più nascosti, più lontani, è il tuo corpo.
«I muri non hanno orecchie.» Nella casa del tuo corpo, sì. Questi muri che hanno sentito tutto e non hanno mai dimenticato niente, sono i tuoi muscoli. Nelle rigidità, nei crampi, nelle debolezze e nei dolori dei muscoli della schiena, del collo, delle gambe, delle braccia, del diaframma, del cuore, e anche del volto e del sesso, si rivela tutta la tua storia, dalla nascita a oggi.
Senza rendertene conto, fin dai primi mesi di vita, hai reagito a pressioni familiari, sociali, morali. «Stai così, stai cosà. Non toccare. Non toccarti. Fai il bravo. Difenditi. Svelto. Dove vai così svelto…?» Confuso, ti sei adattato come hai potuto. Per conformarti, ti sei deformato. Al tuo vero corpo, armonioso, dinamico, gioioso per natura, si è sostituito un corpo estraneo che non riesci ad accettare, che nel tuo intimo rifiuti.
È la vita, dici, non c’è niente da fare. Io rispondo che invece c’è da fare qualcosa, e che soltanto tu puoi fare qualcosa. Non è troppo tardi. Non è mai troppo tardi per liberarsi dalla programmazione del passato, per accettare il proprio corpo, per scoprire possibilità ancora insospettate. Essere è continuare a nascere. Ma quanti di noi si lasciano morire ogni giorno un po’, integrandosi così bene alle strutture della vita contemporanea da perdere la vita perdendosi di vista?
In materia di salute, benessere, sicurezza, piaceri, ci affidiamo ai medici, agli psichiatri, agli architetti, ai politici, ai padroni, ai mariti, agli amanti, ai figli. Lasciamo la responsabilità della nostra vita, del nostro corpo, agli altri, a volte persino a coloro che non vogliono questa responsabilità e se ne sentono schiacciati, e spesso a coloro che fanno parte delle Istituzioni il cui scopo principale è rassicurarci, dunque reprimerci. (E quante sono le persone di ogni età il cui corpo appartiene ancora ai loro genitori? Come bambini sottomessi, aspettano invano per tutta la vita il permesso di viverla. Psicologicamente minorenni, essi si vietano persino lo spettacolo della vita altrui, pur essendone i censori più severi.)
Rinunciando all’autonomia, abdichiamo alla sovranità individuale. Apparteniamo al potere, agli esseri che ci hanno recuperati. Parliamo tanto di libertà perché ci sentiamo schiavi; e i più lucidi di noi sanno di essere responsabili di questa schiavitù. Come potrebbe essere diversamente dal momento che non siamo neppure padroni della nostra prima casa, ossia del nostro corpo?
Eppure è possibile ritrovare le chiavi del proprio corpo, prenderne possesso, abitarvi finalmente e trovarvi vitalità, salute e autonomia.
Ma come? Non certo considerando il nostro corpo come una macchina per forza difettosa, ingombrante, composta di tanti pezzi separati (testa, schiena, piedi, nervi…), ciascuno di competenza di un diverso specialista del quale si accetta ciecamente l’autorità e il verdetto. Né contentandoci di definirci una volta per tutte «nervosi», «insonni», «stitici» o «cagionevoli». Né cercando di irrobustirci con la ginnastica, che è solo l’allenamento forzato del corpo-carne, del corpo considerato come non intelligente, come un animale da domare.
Noi siamo il nostro corpo. Siamo ciò che sembriamo. Il nostro modo di sembrare è il nostro modo di essere. Ma non vogliamo ammetterlo. Non osiamo guardarci, del resto non sappiamo farlo. Confondiamo il visibile con il superficiale, e ci interessiamo solo a ciò che non possiamo vedere. Arriviamo persino a disprezzare il corpo e coloro che se ne interessano. Evitiamo di soffermarci sul nostro aspetto, per poi buttarci allo sbaraglio in interpretazioni profonde di noi stessi, delle nostre strutture psicologiche, sociali, storiche. Per tutta la vita giochiamo con le parole perché ci rivelino le ragioni del nostro comportamento. Perché non cercare invece attraverso le sensazioni le ragioni del nostro corpo?
Noi siamo il nostro corpo. Il corpo è la nostra sola realtà valutabile. Non si oppone all’intelligenza, ai sentimenti, all’anima. Li include e li ospita. Dunque prendere coscienza del proprio corpo è accedere a tutto il proprio essere… poiché corpo e anima, psiche e fisico, e anche forza e debolezza, rappresentano non la dualità dell’essere, ma la sua unità.
Ti sarà possibile smettere di logorarti inutilmente, di invecchiare prematuramente, risparmiando gran parte dell’energia che oggi utilizzi e che è dieci o cento volte superiore a quanta ne occorre per ogni gesto.
Puoi permetterti di lasciar cadere la maschera, i travestimenti, le pose, di non fare più «come se», ma di essere e di avere il coraggio della tua autenticità.
Puoi alleviare una gran quantità di malanni - insonnia, stitichezza, disturbi digestivi - facendo lavorare per te, e non contro di te, muscoli che oggi non sai neppure dove sono.
Puoi svegliare i sensi, acuire le percezioni, avere e saper proiettare un’immagine di te stesso che ti appaia soddisfacente e rispettabile.
Puoi affermare la tua individualità, ritrovare l’iniziativa, la fiducia in te stesso.
Puoi aumentare le tue capacità intellettuali migliorando gli stimoli nervosi tra cervello e muscoli.
Puoi perdere le cattive abitudini che ti fanno adoperare troppo, e quindi sviluppare troppo e deformare, certi muscoli, rompere gli automatismi del tuo corpo e recuperarne l’efficienza, la spontaneità.
Puoi diventare un atleta che in ogni istante, qualunque sia il movimento che compie, conta sull’equilibrio, la forza e la grazia del proprio corpo.
N.b.:
Questo articolo è tratto dal sito: www.mylifetv.it .
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Buona lettura o buon ascolto