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Il Trager in Traumatologia
 
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MI SONO PROPRIO ROTTO!
 
La maggior parte dei nostri clienti si sottopone alle sedute di Trager per risolvere problemi legati a tensioni muscolari dovute a stress. Può però capitare qualcuno che abbia bisogno della nostra opera per esiti di traumi: fratture, distorsioni, lussazioni, lesioni muscolari.

E' opportuno fare una premessa importante: le lussazioni e le distorsioni, cioè le lesioni delle articolazioni più o meno gravi, sono delle gran brutte bestie, che impiegano mesi ed anni a guarire e spesso lasciano esiti dolorosi o debolezza articolare, non ostante le migliori cure.

Le lesioni muscolari (strappi, contusioni e ferite) possono lasciare debole il muscolo: questa debolezza non è sempre recuperabile del tutto, poiché possono essersi determinate interruzioni nelle fibre nervose che comandano il muscolo e possono essersi formate cicatrici (non elastiche) all'interno del muscolo.

Le lesioni che in genere lasciano, tutto sommato, meno esiti sono proprio le fratture delle ossa, purché non interessino la parte articolare.

L'osso infatti è particolarmente inerte da un punto di vista funzionale e l'unica innervazione sensitiva che possiede è nel periostio (la guaina che riveste l'osso) che ha grosse capacità di recupero.

Comunque il trattamento Trager è sempre lo stesso: aiutare a recuperare la funzione meglio possibile superando gli schemi disfunzionali creati dal trauma.

Il trauma è stato memorizzato dalla mente come DOLORE, per evitare il dolore (e permettere la guarigione) al trauma la mente ha fatto seguire l'IMMOBILIZZAZIONE, ottenuta con la contrazione di alcuni muscoli ed il rilassamento di altri.

Automaticamente la mente esegue l'equazione IMMOBILITA' = NON DOLORE, per cui MOVIMENTO = DOLORE.

Infatti appena cerchiamo di muovere la parte infortunata abbiamo una reazione di dolore e di irrigidimento per impedire il movimento.

A volte questo dolore e questa rigidità permangono ben oltre i limiti di tempo richiesti per la guarigione: se fino a quel punto potevamo considerare buono il sistema di immobilizzazione usato dalla mente, ora possiamo intervenire per "togliere il gesso", cioè per ridare il via alla funzione.

Per far ciò occorre però eliminare il dolore che accompagna ed impedisce il movimento.

Parte di questo "dolore" è reale e dovuta  ad accorciamento delle fibre muscolari e alle aderenze in sede articolare dovute al non uso, in parte è interpretata come dolore la sensazione spiacevole che si ha rimettendo in movimento ciò che non si usava da tempo: i cigolii insomma.

Gran parte però è "MEMORIA DI DOLORE", è una proiezione del dolore legato al movimento, a qualunque movimento o a determinati movimenti, di quel tratto di organismo che ha subìto il trauma: il dolore come difesa dell'organismo.

Quindi non un dolore reale, ma non per questo meno doloroso.

Perciò, prima di tutto, cerchiamo di fare in modo che la mente non si accorga del movimento, e non senta la necessità di avvertirci del pericolo con la sensazione del dolore.

Immaginiamo di avere un cliente che ha avuto un trauma ad una spalla.

Facciamolo sedere comodamente, ben eretto e con gli occhi chiusi: perché non veda ciò che accade e non informi la mente per mezzo della vista.

Prendiamo il suo braccio e teniamolo in una posizione che gli sia gradita. RIMANIAMO FERMI qualche secondo. Ora cominciamo a dondolare il nostro corpo, senza muovere l'arto, solo facendolo dondolare piano piano insieme a noi e cominciamo a parlare con il cliente, con voce calma e bassa, chiedendogli di rilassarsi e, senza muoversi di pensare o di parlare di cose piacevoli: le vacanze, un viaggio, qualunque cosa a lui piaccia. Dopo 3-4 minuti chiediamogli di IMMAGINARE DI MUOVERE LENTAMENTE L'ARTO, SENZA MUOVERLO REALMENTE: per esempio facciamogli immaginare di pettinarsi con quella mano.

Questo serve per far rammentare alla mente il movimento normale, in tutta la sua estensione, come era prima del trauma: serve, in pratica, per fargli ricostruire gli schemi funzionali.

Descriviamogli il movimento da fare restando immobile, descriviamolo con cura, guidiamolo con la voce all'andata ed al ritorno, fino alla posizione di partenza e facciamoci dire di volta in volta in che posizione immagina l'arto.

"Ecco ora hai il pettine in mano, comincia a sollevare la mano, lentissima, verso la testa ..."

"Dove sei arrivato ora? dimmi quando arrivi ai capelli ...

Più lentamente, in modo da sentire il movimento in tutto il braccio, nella spalla, nella mano, senti i muscoli contrarsi? Dimmi quando hai finito di passare il pettine tra i capelli... sei arrivato in fondo al movimento? Bene! ora comincia a tornare indietro, lentamente .... dimmi, a che punto sei?"

Mentre il cliente pensa il movimento senza farlo, sentiamo l'arto vibrare, come se volesse muoversi davvero.

Assecondiamolo, molto lentamente, senza che se ne accorga, sempre continuando il nostro dondolio che inganna la mente del cliente.

Se sentiamo l'arto irrigidirsi fermiamoci: comincia a sentire male. Fermiamo il movimento del braccio, ma non il dondolio.

Facciamo immaginare più volte lo stesso movimento e poi altri, sempre ad occhi chiusi, sempre dondolando, sempre seguendolo delicatamente.

Poi, SEMPRE AD OCCHI CHIUSI, chiediamogli di eseguire il movimento immaginato, lentamente, molto lentamente, come lo aveva immaginato.

Se non ci sono blocchi articolari (artrosici o traumatici) il movimento sarà molto più ampio che in precedenza.

Ora diamo una sessione completa di Trager, per integrare l'arto nel resto del corpo, sempre molto delicatamente e sempre senza dolore.

Alla fine della sessione rifacciamo qualche minuto di movimento, prima immaginato ad occhi chiusi, poi effettuato ad occhi aperti, perché il cervello, non solo faccia il movimento, ma si accorga che lo sa fare.

In bocca al lupo!


By Centro Informatica