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Un ritratto di quarant'anni
 
 
 

 

Entrando trovarono, appeso al muro, uno splendido
ritratto del loro padrone, quale l'avevano veduto l'ultima
volta, mirabile di gioventù e di bellezza eccezionali.
Steso sul pavimento era il cadavere di un uomo in
abito da sera, con un coltello nel cuore.
Aveva il viso avvizzito, rugoso, repellente.
Soltanto quando ebbero esaminato gli anelli
poterono identificarlo.

Oscar Wilde
(Il ritratto di Dorian Gray - epilogo)

 Se la diagnosi da te fatta sulle tue caratteristiche di fondo era esatta e se la tua esperienza della vita è stata sufficientemente lunga da lasciare un ricordo sul tuo viso, ti sarai accorto, facendo i "giochi pericolosi", che il mimare una espressione che fa parte del tuo bagaglio personale non crea rughe nuove, ma accentua quelle preesistenti.

Questo accade perché le rughe sono determinate da una continua contrazione dei muscoli del viso, sottoposti a iperlavoro dal perdurare di una emozione o di un modo di essere "non rilassato": la perdita di elasticità della pelle legata all'età fa rompere la trama del tessuto nei punti soggetti a lavoro continuo, fissando l'espressione sul viso, per questo sono dette "rughe di espressione".

Queste rughe sono situate ai lati della bocca, del naso e degli occhi, tra le sopracciglia e sulla fronte e sono ben diverse da quelle dovute all'invecchiamento, che sono diffuse su tutto il volto e sul collo.

La cultura popolare conosce benissimo queste cose e le esprime nei modi di dire: "avere un viso disteso" vuol dire essere tranquillo e rilassato, "avere il viso tirato" vuol dire essere sottoposto a stress.

Ma ci sono molte altre espressioni che indicano una lettura del viso, giusta o sbagliata che sia, per capire il carattere di una persona: faccia da schiaffi, faccia di bronzo, faccia impertinente, faccia da ladro, occhi di gatto, guardare in cagnesco, parlare a viso aperto, avere una espressione dolce, avere una espressione dura, avere uno sguardo freddo ....

Prova a trovarne altre, ce ne sono tantissime ed hanno tutte un fondo di verità; scrivile su un foglio, cercando di scoprirne il significato reale.

I Giapponesi dicono che il viso è plasmabile fino a 40 anni, dopo non cambia più e racconta tutta la nostra storia, tutta la nostra vita, le nostre sofferenze, il nostro modo di affrontare la vita, le nostre delusioni: il nostro viso è il nostro diario.

Forse è per questo che tanta gente va a farsi cancellare pagine di vita passata dal chirurgo estetico con lifting e plastiche.

Noi siamo quel che siamo stati ed ogni attimo della nostra vita, bello o brutto, dolce o terribile, è scritto indelebilmente dentro di noi.

Ogni nostro gesto, ogni nostra scelta, ogni nostro comportamento, buono o cattivo è dettato dall'interezza delle nostre esperienze precedenti.

Sta solo a noi riuscire a riscoprire e superare quelle negative in modo che non ci possano più nuocere, sfruttando e vivendo i lati positivi di noi stessi: ridando al nostro essere la libertà che aveva nella sua più tenera infanzia, prima che dolori e condizionamenti lo incarcerassero per sempre.

Il mito del "buon selvaggio" forse tendeva solo a questo: ricercare il bambino originario. L'errore è stato solo quello di cercarlo al di fuori di noi.

 UN GRIDO DI DOLORE

Il linguaggio vocale è l'espressione dell'insieme del "trio" di noi stessi, corpo, mente e spirito: da ciò che si dice, dalle parole usate, dal tono e dal volume della voce, dalla velocità di scansione delle parole abbiamo un quadro abbastanza preciso su ciò che il nostro Io integrato sente.

Il corpo è quello che ha meno possibilità espressive.

All'inizio usa piccoli squilibri funzionali muscolo scheletrici (una spalla un po’ più alta, la testa un po’ di lato...) oppure di organo (come la colite, eczemi, acne e tante altre malattie cosiddette psicosomatiche) poi, se non abbiamo capito e non abbiamo corretto la rotta, grida: è veramente un grido di dolore.

Il dolore è il modo estremo di parlare del nostro corpo, il suo pianto, il suo mezzo per esprimere un disagio insopportabile.

Alcuni dolori, come abbiamo visto, possono essere proprio metafore del disagio, come i dolori alle spalle (caricarsi di un peso), o lombari (sfiancare qualcuno, "rompere le reni alla Grecia" ...), altri possono essere indici precisi di un disagio legato a fatti quotidiani.

Immaginate quando, secoli addietro, i libri venivano scritti e ricopiati a mano, uno per uno, pagina dopo pagina, riga dopo riga, illustrazione dopo illustrazione, senza possibilità di sbagliare, da persone pazienti dette amanuensi o scrivani.

Questi amanuensi saranno stati pazienti quanto si vuole, ma dopo anni di copiature dovevano caricarsi di tanto stress e tante frustrazioni, al punto che il loro corpo, semplicemente, rifiutava di scrivere: il "crampo dello scrivano" rende perfettamente l'idea di questo disagio esistenziale.

Quante persone soffrono di dolori, magari non particolarmente forti, ma che impediscono loro di lavorare, quante persone improvvisamente non riescono più a stringere gli oggetti con la destra o si lasciano sfuggire quelli che hanno in mano?

Disagi sul lavoro, noioso, ripetitivo, senza fantasia, senza soddisfazioni, o troppo oneroso, ma anche disagi in famiglia avvertiti inconsciamente da persone che si fanno inopinatamente male il primo giorno di vacanza, costrette a letto dalla lombalgia il sabato mattina, annientate dall'asma e dal raffreddore allergico il venerdì sera.

Quanti bambini aspettano con trepidazione le vacanze di Natale, di Pasqua ed estive per prendersi le malattie più strane?

 


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